L’artista visivo Christian Sacchi, in arte aChryliko, ci racconta in questa flash interview il suo percorso tra arte contemporanea, immaginari distopici e sensibilità ambientale.
Ciao Christian, partiamo dalle basi: ci racconti chi sei e qual è il tuo percorso nel mondo dell’arte? Come nasce aChryliko?
Ciao! Sono un cinquantenne nostalgico degli anni ’80. Il mio percorso artistico è iniziato nel lontano 1986, quando ho frequentato l’Istituto d’Arte alla Villa Reale di Monza. Però è solo nel 2005 che l’arte è tornata davvero nella mia vita: avevo appena comprato casa e, un po’ per gioco, ho iniziato a dipingere qualche quadro per arredare le pareti.
È stato così che ho scoperto i colori acrilici, molto più pratici e semplici da usare rispetto agli oli, che non ho mai sopportato nemmeno a scuola. Da lì è ripartita la mia avventura… ed è nato aChryliko.
Se dovessi racchiudere il tuo universo artistico in tre parole soltanto, quali sceglieresti e perché?Riciclo, cuore anatomico e… mosca.
Il riciclo è da sempre il motore della mia arte. Mi piace smontare piccoli elettrodomestici e scoprire cosa c’è dentro: ingranaggi, schede, lampadine… ogni pezzo può trovare nuova vita su una mia tela. È un modo per dare dignità e bellezza a ciò che normalmente finirebbe nella spazzatura.
Il cuore anatomico, invece, mi affascina da sempre per la sua forma e per tutto quello che rappresenta. Vita, amore, passione, emozioni… è un soggetto che torna spesso nei miei lavori, su tela e non solo. È un simbolo potente, diretto, universale.
Infine, la mosca. È diventata quasi la mia firma oltre che il mio logo. Un insetto che, come me, si nutre di tutto e trova valore anche dove gli altri vedono solo scarto. C’è una frase di Alda Merini che la dice lunga:
“Le mosche non riposano mai, perché la merda è veramente tanta”. Cruda, sì. Ma vera. E molto, molto attuale.
Le tue opere sembrano arrivare da una dimensione parallela, quasi distopica: da dove nasce l’ispirazione? Cosa accende davvero la tua creatività?
L’ispirazione, per me, arriva un po’ da tutto. Nei lavori più pop, ad esempio, il cinema, che è una mia grande passione, mi guida con i suoi personaggi più eccentrici e fuori dagli schemi. Ma anche la musica ha un ruolo importante: alcuni artisti sono vere e proprie icone visive oltre che sonore.
Quando uso pezzi di elettrodomestici, schede o materiali abbandonati, immagino un futuro distopico in cui l’uomo, responsabile dell’inquinamento, dello spreco e della produzione eccessiva di rifiuti, è costretto a sopravvivere proprio grazie a ciò che prima buttava via.
Una sorta di rigenerazione forzata, come se fossimo diventati dei robot che si riparano da soli usando pezzi di scarto. È una visione critica ma anche simbolica di quello che potremmo diventare, o forse… lo siamo già.
In un mondo in continua trasformazione, qual è oggi, secondo te, il senso più autentico dell’arte?
Me lo sono chiesto tante volte: “Cos’è davvero l’arte?”
E, alla fine, per me la risposta è sempre la stessa. L’arte è tutto ciò che ci attrae, che riesce a colpirci e a farci provare qualcosa, anche solo con uno sguardo. È un’emozione che nasce spontanea, senza bisogno di spiegazioni. Se guardando un’opera senti qualcosa, anche solo per un attimo, quella è arte. Non importa che sia un quadro, un oggetto trovato per strada o una scena di vita quotidiana: se ti parla, se ti tocca, ha fatto il suo lavoro.
Raccontaci com’è nato il tuo linguaggio visivo: quali sono stati i momenti chiave o le esperienze che ti hanno fatto trovare la tua cifra stilistica?
Il mio linguaggio visivo è nato prendendo ispirazione da un grande artista che ho sempre ammirato: Alberto Burri. I miei primi lavori erano infatti astratti e materici, molto legati alla sperimentazione con materiali e texture. Un momento chiave è arrivato nel 2014, quando ho visitato una mostra di Warhol a Milano. Da lì è scattata una scintilla: ho iniziato a unire il mio approccio materico con elementi figurativi, portando sulla tela personaggi e icone pop, ma sempre usando materiali di scarto e oggetti riciclati. È stato come trovare un nuovo modo di parlare, più diretto ma sempre personale.
La tua partecipazione al collettivo di Mostrami ha influito in questo percorso? Se si vuoi raccontarci come?
La mia partecipazione al collettivo di Mostrami ha avuto sicuramente un impatto su questo percorso. Entrare in contatto con altri artisti, confrontarmi con idee diverse, partecipare a mostre e progetti condivisi mi ha aiutato a uscire dalla mia “bolla” e a guardare il mio lavoro con occhi nuovi. È stato uno stimolo importante, soprattutto nei momenti in cui cercavo una direzione più chiara.
Le tue creazioni sono un mix affascinante di colori saturi e forme organiche: ci spieghi meglio quali tecniche utilizzi e come si sviluppa il tuo processo creativo?
Il mio processo creativo può partire in due modi diversi. A volte ho già in mente un’idea ben precisa: un personaggio, un brand iconico, oppure un soggetto pop che voglio reinterpretare.
Altre volte, invece, è il contrario: è proprio un oggetto di scarto, magari trovato nella spazzatura, a darmi l’ispirazione.
Uso spesso cartone, componenti elettroniche, oggetti di uso quotidiano, tutto materiale recuperato. Mi piace dare un aspetto vissuto, usurato, al lavoro su tela. È una sorta di “invecchiamento artistico”, che racconta la storia del materiale stesso. L’ultimo passaggio è la colata di resina. È un elemento fondamentale perché protegge e ingloba tutti questi frammenti fragili, fissandoli in modo permanente e intensificando i colori acrilici, dando così vita all’opera.
Il tuo legame con l’ambiente è evidente e profondo. In che modo la natura entra nella tua arte e come cerchi di sensibilizzare chi osserva le tue opere?
Come dicevo, il riciclo è davvero il cuore pulsante della mia arte. Credo profondamente che ogni oggetto, una volta esaurito il suo utilizzo “pratico”, possa avere una seconda vita, magari ancora più significativa e dignitosa.
Per me è una forma di rispetto, non solo verso l’ambiente, ma anche verso ciò che ci circonda e che spesso diamo per scontato. Sono da sempre contro lo spreco. E lo ammetto: sono un accumulatore seriale! Non butto via niente, perché nella mia testa ogni oggetto ha un potenziale. Attraverso la mia arte, ridò dignità a ciò che era stato scartato, e allo stesso tempo mando un piccolo messaggio: tutto può rinascere, anche quello che crediamo inutile.
Guardando al futuro: ci puoi svelare qualcosa sul tuo prossimo progetto? Qualche esposizione in programma? Cosa bolle in pentola nel mondo di aChryliko?
A breve parteciperò con quattro opere a MartesArte, una mostra collettiva che si terrà dal 14 al 22 giugno 2025 presso Palazzo Pirola a Gorgonzola. È un’occasione importante non solo dal punto di vista culturale, ma anche solidale: parte del ricavato andrà a sostenere un progetto promosso dalla Zona Lions Adda Martesana, per l’acquisto di un ambulatorio mobile. Una bella unione tra arte e impegno sociale, che condivido pienamente.
Ma la novità più grande è che dal 25 ottobre all’8 novembre terrò la mia prima mostra personale al Museo MAiO di Cassina de’ Pecchi. Per l’occasione sto lavorando a nuove tele e anche a delle “sculture”. Ho appena deciso il titolo della mostra, che sarà: “LIFE, DEATH & ROBOTS”. Un tema che mi rappresenta molto, dove convivono emozioni, decadenza, tecnologia e rigenerazione… insomma, tutto il mio mondo.
Speriamo che questa intervista vi abbia incuriosito e fatto entrare nel mondo visionario dell’artista contemporaneo aChryliko! Se vi ha colpito la sua arte e il suo modo di raccontarla, non perdete l’occasione di seguirlo da vicino: nuovi progetti, opere sorprendenti e tanta ispirazione vi aspettano!